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Nero su bianco di Jun’ichiro Tanizaki

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Affrontare un libro di Tanizaki è sempre una sfida. Anche se sulle pagine di LN ho pubblicato soltanto una recensione (http://librinuovi.net/1494/conflitti-di-famiglia) nella realtà ho letto diversi altri libri di questo grande autore nipponico – tra gli altri: La chiave, Il veleno di Afrodite, Vita segreta del Signore di Bushô, Linea d’ombra – traendone qualche conclusione sulle sue caratteristiche. La prima è il suo inconfondibile humour nero che trascolora e trapassa spesso in una gelida vertigine erotica, dalla quale ogni via di fuga appare impossibile; la seconda è la profonda, tenace antipatia dell’autore nei confronti dei suoi personaggi, spesso rappresentati come individui oziosi, egocentrici, fatui, incapaci di comprendere i motivi profondi delle persone con le quali vengono a contatto, viziosi in maniera monotona e ripetitiva, vittimisti, esibizionisti e fondamentalmente stupidi; la terza è l’attenzione e la sensibilità con la quale Tanizaki sa raccontare la psicologia e le emozioni femminili, anche quando, come ne Il veleno di Afrodite, il personaggio femminile diviene la protagonista di un’acida vendetta consumata ai danni del maschio.

In Nero su bianco, un thriller meritoriamente ripescato dall’editore e che «faceva parte di una raccolta uscita nel 1929 con il titolo Jun’ichirō hanzai shōsetsu shū (Raccolta di romanzi del crimine di Jun’ichirō), un genere a cui non è forse usuale associare il nome dello scrittore»[da Mi interessa solo la finzione di Luisa Bienati, L’Indice, letture 3/6/2019], dove Tanizaki presenta ancora una volta un suo tipico personaggio, Mizuno, un autore di testi gialli che consegna alla rivista Minshū un suo racconto dove narra la storia di un uomo deciso a mettere in pratica un delitto perfetto, scegliendo una vittima a caso e scampando in questo modo alla giustizia. Nello scrivere Mizuno mette in scena se stesso come protagonista e come vittima sceglie Kojima, «un tipo insignificante, con una faccia del colore di una vecchia scarpa di cuoio».

Il problema al centro del giallo si presenta entro pochi giorni: il povero Kojima viene infatti trovato assassinato e non esistono indiziati né motivi precisi che permettano di risalire all’identità del colpevole. L’unico “indizio” è che Mizuno, per una banale svista ha inserito il vero nome di Kojima nel suo racconto, non riuscendo poi a farlo togliere in sede di correzione di bozze, dato il ritardo con il quale ha consegnato il testo definitivo.

I suoi rapporti con l’editore non sono facili e, d’altro canto, Mizuno non è affatto un individuo nitido e lineare, quanto un soggetto cinico e noncurante, capace di farsi dare un acconto per un racconto non solo non ancora scritto, ma nemmeno progettato. I soldi servono a Mizuno per un solo motivo: procurarsi un amore mercenario, «aveva un conto presso le principali case di piacere della città», o magari, per potersi pagare un’avventura con qualche donna conosciuta per caso.

La donna con la quale spende i 160 yen ottenuti dall’editore è una dattilografa che ha lavorato nell’ambasciata tedesca e che, oltre a conoscere e parlare perfettamente il tedesco, si vanta di essere una grande esperta della cultura e degli usi germanici. Con costei trascorre quattro giorni che, stranamente, non lasciano tracce nella memoria, proprio i giorni nei quali è avvenuto l’omicidio di Kojima.

Non passa troppo tempo perché Mizuno, rimasto senza contatti con l’editore, incontri il mellifluo e geniale ispettore Watanabe, capace di lusingare il suo gigantesco ego, facendogli confessare anche ciò che lo scrittore non si sarebbe mai sognato di ammettere.

Ovviamente Mizuno è innocente dell’omicidio di Kojima, ma un sottile, persistente (e assurdo) senso di colpa lo punge, mai ammesso a chiare lettere ma sempre presente a turbare i suoi sogni e e rendere le sue esperienze vacue, superficiali, ambigue.

Mizuno è vittima delle sue riflessioni e dei suoi pensieri basati su una paranoia soffocante figlia dell’eccessiva considerazione verso se stesso e i propri gesti, fino a spezzare la rete che tiene unito il sé pubblico con il suo io privato.

Jun’ichiro Tanizaki

Dal momento che si tratta di un poliziesco non è il caso di raccontare la conclusione del libro: resta il fatto che il buon Mizuno resterà schiavo dei suoi incubi, onirici e reali, fino alla fine.

Un ottimo romanzo, capace di raccontare la fatale decadenza di un uomo mediocre, un testo che non ha molto a che vedere con il genere nel quale è stato inserito – non più di quanto lo sia Delitto e castigo di Fjodor Dostoevskij – e che non è stato scritto per cercare la compiacenza del lettore, quanto per fargli sperimentare l’inattesa sensazione di inorridito distacco nei confronti del protagonista.

Jun’ichiro Tanizaki, Nero su bianco, Neri Pozza 2019, pp. 257 + gloss., € 17,00, trad. Gianluca Coci.

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